Articolo interessante di Andrea Daniele Signorelli per Wired.

O almeno così la pensa Cory Doctorow, attento osservatore del settore, secondo il quale a mettere a rischio privacy e diritti è l’eccessivo potere conquistato da pochissimi colossi

E se il potere del capitalismo della sorveglianza fosse sopravvalutato? Se la vera minaccia per i diritti e la privacy di ciascuno di noi fosse molto più a valle e la tecnologia c’entrasse solo fino a un certo punto? Prima di tutto, facciamo un passo indietro: con “capitalismo della sorveglianza” – termine reso celebre dalla sociologa Shoshana Zuboff tramite il suo omonimo saggio, pubblicato in Italia da Luiss University Press – si intende quel sistema tecnologico che permette di estrarre dati relativi alle azioni che compiamo sui vari social network, motori di ricerca, piattaforme di streaming, siti di e-commerce e molto altro.

Tutte queste informazioni, una volta aggregate, possono rivelare le nostre preferenze d’acquisto e anche i nostri orientamenti politici, sessuali, religiosi. In poche parole, come rivelò una celeberrima ricerca, permettono a Facebook di conoscerci meglio del nostro migliore amico. E questo anche perché, tramite le nostre azioni, riveliamo ai colossi della Silicon Valley ciò che, magari, non riveleremmo a nessun altro.

I dati estratti dagli utenti, però, non hanno valore di per sé. Lo acquistano nel momento in cui vengono utilizzati per formulare ipotesi e previsioni su ciò che le persone potrebbero acquistare o desiderare in futuro. La costante e pervasiva raccolta dati consente a queste aziende di vendere a terzi previsioni estremamente precise, diventando così strumenti indispensabili per le strategie commerciali delle altre aziende.

Secondo Zuboff, l’influenza che il capitalismo della sorveglianza esercita sulle nostre azioni e decisioni è tale da arrivare a toglierci ciò che lei chiama “il diritto al tempo futuro”, cioè il diritto di decidere da soli cosa fare del nostro domani. In poche parole, Google, Facebook, Amazon e gli altri colossi ci priverebbero almeno parzialmente del nostro libero arbitrio.

Continua su Wired